Londra, luglio 1833. Nella sala gremita, i parlamentari attendono la relazione finale che porterà a una votazione sulla Compagnia delle Indie orientali. Per settimane si sono confrontati su testi, documenti, note fiscali, corrispondenze, interrogandosi su cosa sia davvero divenuta quella tentacolare Idra che per secoli ha propiziato l’espansione della Corona nel mondo e che però – in quello stesso arco temporale – ha ingenerato problemi a catena, di ordine politico, giuridico e finanziario, fino a lambire l’alto tradimento.

Significative sono le parole con cui si apre la relazione finale: la Compagnia – si afferma – è divenuta un mostro dalla duplice natura, soggetta al potere della Corona nell’emisfero occidentale, e Stato quasi autonomo nella lontana Asia, dove tra India e Cina ha edificato un suo proprio impero. Come ha autorevolmente sostenuto Maya Jasanoff, la storia della Compagnia è la storia dell’Impero britannico. Molti dei suoi maggiori esponenti sono stati ritenuti anticipatori delle multinazionali e addirittura fondatori della compagine imperiale britannica, e altrettanto non casualmente al modus operandi della Compagnia si deve la virale espansione della potenza inglese nei vasti territori dell’India e della Cina.

Lo schema

William Dalrymple, nel suo monumentale affresco della storia della Compagnia, “Anarchia” (Adelphi), ricorda figure come Robert Clive e Warren Hastings e il culto della personalità che molti dei maggiorenti della Compagnia cercarono di costruire con il passare del tempo, al fine di influenzare il corso della storia politica in patria.

La Compagnia delle Indie come perno nodale di edificazione di una proto-globalizzazione, schema costitutivo di una multinazionale, è un assunto concettuale ormai consolidato: da Sabino Cassese a Giovanni Arrighi, il ruolo svolto da questa società commerciale privata simile a un ircocervo è valorizzato e ben sottolineato. Gli atti del Parlamento inglese, che ebbe a occuparsene anche a fine settecento, sono del pari utili per una lettura di quella esperienza storico-istituzionale alla luce dell’epoca delle piattaforme digitali. La Compagnia aveva beneficiato di enormi finanziamenti pubblici e soprattutto di esenzioni e privilegi fiscali, i “charters” della Corona, che avrebbero dovuto rendere più fluida la sua azione nel cuore della lotta per la acquisizione delle grandi rotte oceaniche.

Le piattaforme e i soggetti privati

Allo stesso modo – come ricorda Margaret O’Mara nella sua storia della Silicon Valley – i titani del Tech sono originati da una evidente ibridazione con i Dipartimenti di Stato, sia in termini di ampi finanziamenti sia in quelli più prosaici di revolving doors tra dirigenti.Considerare le piattaforme dei meri soggetti privati, legati a pure logiche di mercato, sarebbe fuorviante ed erroneo. La Compagnia delle Indie sviluppò il proprio esercito, la propria diplomazia, la propria struttura amministrativa semi-statale ed esercitò la propria giurisdizione che non corrispondeva del tutto a quella di Sua Maestà.

Del pari, i grandi soggetti del digitale stanno studiando da tempo la possibilità – nel generale quadro delle criptovalute – di battere una propria moneta digitale, vanno sviluppando un loro sistema di giustizia privata, come nel caso dell’Oversight Board di Facebook, hanno modulato una loro rete mondiale di lobbying e di diplomazia, assumendo in maniera massiva ex dirigenti pubblici e aumentando le spese per la rappresentanza di interessi. Soprattutto, la Compagnia britannica delle Indie orientali rappresentò, come ha rilevato Sabino Cassese ne “Lo spazio giuridico globale”, uno dei primi e più perfezionati schemi organizzativi a rete, capace di governare le logiche della nascente globalizzazione.

La potestà sovrana britannica ne aveva bisogno, nella stessa misura in cui gli Stati nazionali spesso, si pensi a quanto avvenuto nel cuore della pandemia, hanno necessità delle grandi piattaforme digitali. La difficoltà, come dimostrano gli atti parlamentari britannici, è però mantenere un sempre più delicato punto di equilibrio.

L’articolo Le grandi piattaforme digitali e la Compagnia delle Indie: è sempre una questione di giustizia proviene da Il Riformista.