Augusto Minzolini, oggi direttore del Giornale, al tempo era un giovane cronista politico. Si fece le ossa seguendo Craxi.
Com’era la situazione in quel 1983, quando fu chiamato Craxi al governo?
«Drammatica dal punto di vista delle casse dello Stato. Craxi si ritrova a gestire una fase molto difficile: se dovessi fare un paragone, il tasso di riformismo del governo Craxi fu simile a quello del primo governo Fanfani. Alcuni interventi di quel governo cambiarono addirittura il modo di vivere degli italiani».
La sua consacrazione?
«Il referendum che congelò la scala mobile, andando a incidere su quel meccanismo perverso dell’inflazione galoppante. Nessuno in quel momento aveva il coraggio di interromperlo. Craxi prese di petto la situazione, scommise tutto su un referendum contrapponendo l’approccio riformista a quello massimalista del PCI. Un duello vero e proprio. E vinse. La novità di avere per la prima volta un presidente del Consiglio socialista lo aiutò. Veniva visto come autentica novità, nei palazzi del potere romano. Laico, milanese, giovane, poco incline ai compromessi barocchi della vecchia politica. Si costruì presto una identità di grande autorevolezza».
Le riforme non sono mai facili, mai ben digeribili…
«Scherziamo? Quelle strutturali sono indigeste, all’inizio per molti, poi solo per qualcuno. I riformisti non possono piacere a tutti. Un esempio? Quando introdusse lo scontrino fiscale nei registratori di cassa. Una grande battaglia sulla quale molti avevano scommesso di veder passare il cadavere di Bettino. Si fece un monitoraggio dal quale risultava che il 65% dei commercianti presentava dichiarazioni fiscali ampiamente evasive. Erano tutti certi che toccare quella materia avrebbe portato alla fine dell’esperienza di Craxi. Invece lo rafforzò: con quel suo modo di fare asciutto, semplice e assertivo, si faceva capire da tutti e apprezzare da molte più persone di quel che dicevano i sondaggi».
Non dai comunisti. Berlinguer lo mise nel mirino.
«Ci fu sempre, tra loro, una dialettica accesa ma rispettosa. Berlinguer lo temeva, e con ragione. Aveva capito che la sinistra italiana stava cambiando, il consenso di Craxi cresceva anche a spese del Pci, la Cgil si divise più spesso di prima, anche sul referendum sulla scala mobile. Quando arriva un grande riformista, i conservatori di sinistra lo temono e lo osteggiano. Sempre. Si può guardare all’intera storia del centrosinistra italiano, fino a Renzi. Anche D’Alema in versione riformista a Palazzo Chigi fu osteggiato da un pezzo di sinistra. Chiedere a Velardi e Rondolino. Quando metti in discussione il vecchio modo di fare, sei un nemico, un traditore: diventi automaticamente estraneo alla sinistra vera. Almeno così dicono i suoi cantori. Peccato che gli elettori amino più spesso il nuovo del vecchio».
Quali furono le maggiori difficoltà di Craxi?
«Sul piano della politica estera, dove sembrò aver intuito che la fine dei due blocchi non era lontana. Appoggiò l’installazione degli euromissili, accelerando il collasso dell’ex impero sovietico, incapace di correre al riarmo. Creò una tensione con i movimenti pacifisti e con l’estrema sinistra che in parte rimane ancora oggi quella di allora. E poi la crisi di Sigonella con gli americani che creò tensione con gli atlantisti italiani. Ma se la Dc era con Reagan, l’allora ministro degli Esteri, Giulio Andreotti, era con Craxi. E con lui era anche Arnaldo Forlani. E in quell’occasione si conquistó la Simpatia anche di un pezzo del PCI».
Quali episodi personali ricordi? La vicenda dei tuoi appostamenti, su cui si favoleggia
«Ero un retroscenista parlamentare e seguivo tutte le riunioni del Psi. Nella loro sede, a via del Corso, quelle importanti erano a porte chiuse. Una volta mentre aspettavo andai al bagno (quello degli uomini era chiuso, entrai in quello delle donne) e per caso mi accorsi che c’era il condotto dell’aria condizionata che permetteva di ascoltare piuttosto bene quello che si diceva nel salone accanto, dov’era riunito Craxi».
E iniziasti così a scrivere i tuoi leggendari retroscena, ricchi di particolari…
«Sì. Ma non durò a lungo. Craxi mi fece seguire per capire come facevo a sapere tutti quei dettagli. Si devono essere accorti che entravo nel bagno delle donne: un giorno lo ritrovai ridotto di un terzo da un muro che avevano costruito per isolare l’acustica…».
Tuttavia lo ascoltava l’Italia. Ci fu un periodo di buona intesa, mi sembra.
«C’era la voglia di entrare in un’era nuova e di mettere in soffitta la vecchia politica. La Milano da bere come modello. Gli italiani che avevano recuperato potere d’acquisto e iniziavano a godersi un po’ più la vita. Craxi seppe interpretare quegli anni e invogliare gli italiani a crescere: con lui diventammo quinta potenza industriale».
Come dicevamo: il più alto tasso di riformismo al governo…
«E proprio perché molto riformista, avversato dai conservatori di sinistra».
L’articolo Minzolini ricorda Craxi: “Gli appostamenti in bagno per seguire le riunioni. Fu osteggiato dalla sinistra perché riformista” proviene da Il Riformista.