A riassumerla in una frase, l’economia è la scienza sociale che studia come gli esseri umani decidono che cosa produrre e consumare in condizioni di risorse scarse, tenendo conto del fatto che gli incentivi contano, cioè le regole del gioco e il comportamento altrui influenzano il nostro comportamento.
È ahimè interessante notare come – con una sequenza difficile di emergenze (Covid, invasione dell’Ucraina da parte della Russia, crisi climatica) – gli scienziati competenti su ciascuno di questi temi, dagli epidemiologi ai medici, dagli esperti di geopolitica ai climatologi, si siano talora fatti sopraffare dalla tentazione di dimenticarsi dell’esistenza insopprimibile delle questioni economiche, innestate visceralmente dentro ognuna di queste tematiche.
Partiamo dal Covid: il sacrosanto obiettivo di salvare il maggior numero possibile di vite umane non può prescindere dal fatto di badare ai costi economici, psicologici e sociali di lockdown e restrizioni. La critica morale secondo cui non è lecito “dare un costo alla vita umana”, cioè accettare maggiori decessi per Covid in cambio di maggiori libertà sociali e minori costi economici, si scontra con il fatto che lo facciamo continuamente, anche se non ci pensiamo.
Se dessimo davvero valore infinito come società alla vita umana, l’Italia dovrebbe allocare tutte le sue capacità produttive annue nel settore sanitario (1700 miliardi di euro all’anno?) lasciando 200 miliardi all’anno per spese alimentari e di abitazione, energetiche e di riscaldamento: in buona sostanza dovremmo spendere in sanità l’89% del Pil. Lo facciamo? Lo facevano prima del Covid? No. Per esempio nel 2019 la spesa sanitaria era pari a circa 150 miliardi di euro (117 miliardi di spesa pubblica e 34 miliardi di spesa privata) quando il Pil totale era pari a 1800 miliardi: si tratta a conti fatti di una spesa totale pari all’8% del Pil, cioè una percentuale dieci volte minore di quella che sarebbe coerente con la volontà di salvare “a ogni costo” le vite umane.
L’unico modo per ottenere in maniera permanente risorse aggiuntive per gestire i problemi che gravano ogni giorno sugli esseri umani consiste nel realizzare i nuovi prodotti, servizi e processi che sono resi possibili dalla ricerca scientifica e dall’innovazione tecnologica. Nel caso della pandemia il riferimento è ovviamente ai vaccini, e in particolare a quelli basati sulla tecnologia mRNA.
Ricordiamoci tuttavia che anche tra i centristi -non solo tra i seguaci di Roberto “Egemonia di Sinistra” Speranza- militavano parecchi di quelli che io chiamo #MoriremoTutti, con una tenue citazione del Predicatore dal Settimo Sigillo di Bergman. Costoro, pur apprezzando il contributo fondamentale dei vaccini, hanno di fatto dato colpi pesanti alla credibilità degli stessi perché hanno sostenuto fino all’ultimo l’esigenza di proseguire con lockdown e restrizioni, quando lo spazio per recuperare la pienezza della nostra vita era stato creato dalla tecnologia, cioè da vaccini e miglioramenti terapeutici.
Ne parlerò un’altra volta con maggiore attenzione, ma è interessante notare che molti di questi #MoriremoTutti sulla questione del Covid, così come preferivano i lockdown e le restrizioni rispetto al vaccino, in maniera molto simile si comportano oggi da #MoriremoTutti anche sull’emergenza climatica, mostrando di preferire di gran lunga eventuali lockdown, restrizioni e utilizzo totalizzante di fonti energetiche alternative rispetto all’orribile, innominabile energia nucleare.
L’articolo Dal Covid alle guerre: durante le emergenze si dimentica l’economia proviene da Il Riformista.