Nel finanziamento della spesa pubblica tramite imposte, l’aspetto pratico è ovviamente fondamentale, in quanto conta il gettito effettivo delle imposte stesse, e non quanto previsto sulla carta da un certo modello teorico per una certa imposta. Le grandi imposte inventate nel ‘900, cioè l’imposta personale sui redditi (IRPEF) e l’IVA, devono essere poi implementate, e sono sempre soggette al rischio dell’elusione, dell’evasione e della mancata riscossione: è qui che si vede il divario concreto tra quanto lo stato dovrebbe incassare e quanto davvero incassa.

Rispetto alle riforme degli anni ’50 e ’70 (riforma Vanoni e Cosciani) l’attuale delega fiscale si focalizza in maniera anche maggiore sul tema della riscossione, cioè dei meccanismi attraverso cui l’Agenzia delle Entrate in maniera efficace, efficiente, semplice e imparziale (riprendo qui il testo dell’articolo 16 della delega fiscale stessa) incassa i debiti tributari.

Come ben notato da Luigi Marattin di Italia Viva, è abbastanza buffo dal punto di vista politico il fatto che Matteo Salvini menzioni l’idea di un’ulteriore pace fiscale (cioè qualche forma di condono) quando contemporaneamente il suo partito approva questo pezzo della delega fiscale che potenzia fortemente i poteri asimmetrici dell’Agenzia dell’Entrate. In che modo? Da una parte eliminando la cartella esattoriale e prevedendo un unico provvedimento con efficacia esecutiva emesso dall’Agenzia stesse, e dall’altra rendendo più tempestive le informazioni sul saldo e i movimenti dei conti correnti dei contribuenti stessi, così da facilitarne l’eventuale pignoramento.

Son ben lungi dal pensare in maniera anarco-liberista che lo stato debba essere esplicitamente ostacolato nella sua attività di riscossione, ma mi si consenta di rilevare due temi che devono essere oggetto di dibattito pubblico e politico: innanzi tutto, lo stato appare schizofrenico se contemporaneamente apre le porte a un condono fiscale mentre rafforza attraverso la legge delega i suoi poteri di riscossione, velocizzando il provvedimento più forte di tutti, cioè il pignoramento dei conti correnti. In secondo luogo, allontanandoci dal caso specifico di Salvini, può destare preoccupazione il fatto che vi sia una legge delega al governo su un tema così cruciale come quello tributario senza passare da una commissione di esperti che produca un documento coeso e sistematico.

Parlando in termini palesi, perché ci fu una commissione Cosciani negli anni ‘70 e non c’è oggi una commissione Bordignon? Ovviamente l’incertezza del contribuente sulla legislazione tributaria futura non si annulla in presenza di una Commissione di esperti, ma il tema resta: si tenga poi presente che con la ripresa dell’economia dopo il tempo del Covid e dei lockdown, i cittadini stanno pagando un importo fortemente crescente di imposte. Ad esempio, il gettito dell’IRPEF è passato dai 187 miliardi del 2020 (quando il Pil crollò a 1654 miliardi) ai 206 del 2022 (con il Pil risalito a 1909 miliardi), cioè con un incremento del 10%. Pur tenendo conto del fatto che lo stato incassa nel 2022 imposte risalenti agli anni precedenti (al tempo dei governi Conte 2 e Draghi), l’andamento dell’IVA è ancora più eclatante, da 124 a 172 miliardi (+39%).
Questi sono i numeri a cui confrontare i 20 miliardi di evasione recuperati nel 2022, come raccontato lunedì da Ernesto Ruffini, direttore dell’Agenzia delle Entrate. Una riforma fiscale ha bisogno di tempo per essere pensata e implementata.

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