Sotto la stabile canicola tropicale che staziona sopra di noi ormai da settimane, quanti ricordano e rimpiangono una delle poche granitiche certezze che dagli anni Sessanta del Novecento trasmetteva agli italiani “Che tempo fa”, i cinque minuti prima del Telegiornale delle 20 sull’unico canale Rai di allora, che portava in casa la “previsione del tempo” per domani o al massimo per dopodomani. Parole e volto pacato e professionale del mitico colonnello dell’Aeronautica Edmondo Bernacca, il primo meteorologo della tivù che fece entrare la parola “meteorologia”, all’epoca ramo della scienza militare, nelle case degli italiani.Da interprete dei fatti del cielo, spiegava i meccanismi più complessi con le sue carte del tempo, costruendo un quadro chiaro dell’evoluzione.

Certo, una grossa mano al colonnello la dava l’altrettanto mitico “anticiclone delle Azzorre”, un fenomeno all’epoca talmente oscuro per i telespettatori che si adattava perfettamente alla descrizione che il giovane Giacomo Leopardi, nel più curioso dei suoi libri, lo strabiliante “Saggio sopra gli errori popolari degli antichi”, faceva del vento, l’inspiegabile “soffio” dei primitivi: “Guardando intorno, non vedeasi cosa che cagionasse quel soffio. Questo fenomeno inconcepibile colpì gli uomini primitivi. Essi si prostrarono stupefatti, e adorarono il Nume sconosciuto che passava invisibile sopra le loro teste”.

Dell’invisibile anticiclone gli italiani impararono in fretta che sarebbe arrivato puntuale tra la terza e la quarta settimana di giugno, quando l’alta pressione iniziava a scaldare, e dalle Azzorre avrebbe reso le nostre estati decisamente le più gradevoli e invidiate, accompagnate dai suoi venti rinfrescanti e da temperature poco oltre i 30°C al Nord e qualcosina in più al Centro-sud ma solo nelle canoniche due settimane più calde dell’anno, tra l’ultima di luglio e la prima di agosto. L’estate aveva una sua tempistica e i gradi di temperatura scontati, ufficialmente si concludeva a fine agosto con qualche temporale ma a settembre iniziava il secondo tempo estivo con valori di temperatura tra i 24 e i 28C°.

Non c’era internet, l’alfabetizzazione era in corso e le mappe meteorologiche atmosferiche erano top secret. Ma gli italiani erano sempre rassicurati non solo dai governi a guida democristiana ma anche dal puntualissimo ritorno del mitologico “anticiclone delle Azzorre” che dall’oceano Atlantico settentrionale si piazzava fermo e stabile sulla penisola, contrastando e annullando il molto rovente “anticiclone Africano”.

Un impareggiabile ruolo di regolatore climatico dell’atmosfera lo aveva e continua ad averlo il Mediterraneo. Già, non tutti i mari sono uguali, e il Nostrum faceva sempre la differenza climatica. L’amato Mediterraneus, il mare “in mezzo alle terre” addolciva il clima dell’Italia rendendolo il più invidiabile del mondo perché era mitigato dalla massa d’acqua marina mediterranea con temperatura media superficiale intorno ai 12 gradi, che contribuiva a regalarci estati secche più o meno calde a seconda della zona ma ben ventilate, e inverni freddi e piovosi ma con temperature decisamente accettabili e confortevoli.

L’inverno mediterraneo, ricorda Fernand Braudel in Memorie del Mediterraneo: “Ha la sua dolcezza; nelle pianure più basse nevica raramente; a volte si hanno giornate serene e soleggiate senza che per forza soffi il mistral o la bora; il mare stesso offre una calma inattesa, e le barche a remi possono avventurarsi al largo per breve tempo; in fondo, questa stagione delle tempeste è anche il tempo delle piogge benefiche. I contadini di Aristofane possono rallegrarsi, chiacchierare, bere, stare in ozio mentre Zeus, con grandi rovesci d’acqua, “feconda la terra”.

L’assetto geologico del Mare Nostrum si è del resto delineato 5 milioni di anni fa come un larghissimo lago più che un grande mare, ed è in effetti un vastissimo specchio d’acqua semichiuso che comunica con l’Atlantico dallo Stretto di Gibilterra, e con l’Oceano Indiano attraverso il Mar Rosso dal canale artificiale di Suez, ed ha scambi di acque con il Mar Nero attraverso lo Stretto dei Dardanelli e il Mar di Marmara dallo Stretto del Bosforo. L’intero bacino ha una superficie di 2.505.000 km2, una larghezza di quasi 4.000 km e la lunghezza costiera di 46.000 km. Bagna 21 paesi di 3 continenti – Africa, Asia ed Europa – dove vivono circa 450 milioni di persone, e si divide in ulteriori mari: Ligure, di Sardegna, di Sicilia, Tirreno, Ionio, Adriatico, poi l’Egeo, i bacini dei mari di Alborán, delle Baleari, la Gran Sirte, il mar di Levante. Da area marina di transizione, fa da confine climatico tra le aree tropicali e quelle delle medie latitudini, e attenua l’escursione termica con la sua azione termoregolatrice.

I climatologi indicano da sempre il clima mediterraneo come “clima temperato”, il più gradevole e finora il più prevedibile, il clima dolce e leggendario, con le sue acque meno fredde degli altri mari e che riescono a trattenere il calore estivo rilasciandolo durante il periodo invernale. L’essere ad una media latitudine e avere un clima incomparabile con altre aree lungo la stessa posizione è il privilegio oggi messo in discussione. Il Mediterraneo, infatti, è uno dei “laboratori” degli effetti del riscaldamento globale, tra i principali hotspot nel mondo.

La nuova configurazione atmosferica con la nuova configurazione climatica con i livelli di emissioni di gas serra e di deforestazione, ha fatto riscrivere da tre decenni i capitoli della meteorologia italiana. L’amato e molto atteso anticiclone resta sempre più sull’Atlantico e l’alta pressione non esercita più il suo effetto-cuscinetto sulla nostra penisola favorendo, soprattutto d’inverno, condizioni di tempo stabile e soleggiato e scongiurando d’estate con le masse d’aria temperate le ondate di calore eccessive, e tenendo quindi il clima in equilibrio perfetto mitigando sia le basse pressioni del Nord Europa sia quelle troppo calde dell’Africa.

La nostra estate è quindi radicalmente cambiata con l’alternarsi di mesi roventi per l’aria calda africana che trova ampi spazi di penetrazione e punta sull’Europa avendo come primo bersaglio l’Italia, rendendo il caldo un altro fenomeno estremizzato. In più con il carico di calore e dell’elevato tasso di umidità dell’attraversamento del Mediterraneo, che si scarica con temporali violentissimi e tempeste di vento.

Da circa tre decenni è accaduto un cambio scena, qualcosa che ricorda un po’ le veloci battute tra Sean Connery e Catherine Zeta Jones in Entrapment: “Come faccio a sapere che ci sarai?” chiede lei. “Se ti dico che ci sarò, ci sarò. E sono sempre puntuale” risponde lui. “Sempre?” richiede lei. “Sempre. Se ritardo, vuol dire che sono morto”. E infatti è andata proprio così. L’anticiclone era da un po’ che non stava tanto bene, fiaccato e bloccato e ora è come se fosse morto.

La scomparsa del nostro Nume tutelare che metteva kappaò il competitor africano ha aperto ampi spazi atmosferici a cicloni come quest’ultimo chiamato “Caronte” che creerà guai a non finire. Il clima cambiato fa sì che l’anticiclone africano dal nome altrettanto mitologico di Caronte riesca a stazionare come una bolla di caldo che dal Sahara è statica e persistente sul Mediterraneo Africano, spingendo le temperature anche oltre i 10° sopra la media, con le nostre città da bollino rosso per picchi di 42-43 gradi non solo al Sud, che si intensificheranno nei prossimi giorni, e con quella di oggi che sarà la giornata peggiore, ma si continuerà così per tutto agosto.

Il Copernicus Climate Change Service dell’UE segnala ormai da anni ogni anno come l’anno più caldo, e se il 2023 sta battendo ogni record come il più caldo di tutti, il bacino del Mediterraneo è l’area dove il riscaldamento climatico corre a una velocità del 20% superiore alla media globale, con la temperatura pre-industriale già superata da range locali di aumento da 1,2 a 3 gradi, e con alcune variabili climatiche ormai compromesse. È uno dei punti di maggior fragilità climatica del globo. La fortuna del mare stabilizzatore del clima vede quasi invertire la sua funzione e si è trasformato piuttosto in “propulsore” di catastrofi per quanto calore ed energia e umidità accumula in atmosfera. E la Protezione Civile è già allertata in alcune nostre regioni del Nord dove da giovedì sono previsti temporali anche intensi, ed è mobilitata al centro-sud per prevenire gli incendi che al 99% sono innescati non dal caldo ma da criminali piromani o da disattenzioni altrettanto criminali.

Le previsioni di impatto nella regione mediterranea sono piuttosto preoccupanti, con due principali fenomeni. Il primo prevede siccità e crolli di rese agricole con circa 250 milioni di persone che si sposteranno con migrazioni prima della metà del secolo; il secondo vede le aree costiere condizionate dal rapido innalzamento del livello del mare, tra 80 centimetri e fino a 1 metro entro fine secolo e a 20 centimetri nei prossimi decenni, sufficienti a salinizzare le acque di falda della maggior delle terre agricole di pianura e a destabilizzare le aree costiere, con emergenze e crolli di economie locali. Problemi da affrontare con politiche di difese e adattamento. E nel caldo africano conviene farci un pensierino.

L’articolo Mercoledì di fuoco: ma perché questo caldo? Il Mediterraneo è uno dei “laboratori” degli effetti del riscaldamento globale proviene da Il Riformista.