Il fronte sud della Nato resta un grande punto interrogativo, così come l’impegno dell’Alleanza per questo settore. L’incontro tra la presidente del Consiglio Giorgia Meloni e il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, è servito per ribadire il ruolo dell’Italia nel sostegno all’Ucraina, ma anche per sottolineare i rischi che provengono dalle crisi dei Paesi al di là del Mediterraneo. Non solo quelli nordafricani, ma anche quelli della fascia del Sahel.

Stoltenberg, nel tweet con cui ha descritto l’incontro con la premier italiana, si è soffermato su due tematiche: instabilità del sud e terrorismo. Ma se queste sono le dichiarazioni del segretario generale e le speranze della presidente del Consiglio, diverso è poi capire come la Nato possa effettivamente declinare nel concreto l’allarme lanciato da Roma su quanto accade a sud del blocco. Da anni l’Italia chiede che l’Alleanza atlantica, e quindi anche gli Stati Uniti, adottino posizioni più nette e impegni più concreti per tutelare il fianco meridionale. Ma se questo già era difficile che si realizzasse prima della guerra in Ucraina, ora, con il conflitto che da 500 giorni sconvolge l’Europa, sembra improbabile un cambio di passo nella direzione auspicata da Palazzo Chigi.

L’ultimo summit di Vilnius, in questo senso, non rappresenta certo una garanzia sul fatto che il blocco euroamericano prenda in mano la situazione per frenare il caos sempre più dilagante nel cuore dell’Africa e sulle coste del Mediterraneo centrale. E lo dimostra il fatto che la dichiarazione finale del vertice lituano si è concentrata sul contenimento delle spinte russe a est e della Cina, posponendo la discussione sui pericoli provenienti da sud al futuro incontro del 2024. Può essere l’inizio di una riflessione complessiva. Tuttavia, i segnali che giungono dal consesso atlantico, a partire dalla crescita del ruolo degli alleati orientali e settentrionali e con Washington proiettata alla sfida a Mosca e Pechino, non lasciano credere che Bruxelles riorienti il proprio baricentro anche verso sud. Il rischio però è che questa naturale predisposizione a oriente della Nato si trasformi in miopia. E alcuni effetti di questa “distrazione” dell’Occidente rispetto al Medio Oriente e all’Africa sono già sotto i nostri occhi.

Cina e Russia hanno consolidato la loro influenza in entrambe le regioni, mentre a sud dell’Europa è già visibile un nuovo “grande gioco” che coinvolge non solo Pechino e Mosca ma anche altri fondamentali attori mediorientali. La Wagner, come affermato anche dalla Federazione Russa, continua le sue attività nel continente africano nonostante la marcia organizzata da Evgenij Prigozhin a fine giugno. E il fatto che i contractors russi rimangano protagonisti nei Paesi a ridosso del fianco meridionale della Nato è un elemento che aiuta a comprendere il radicamento delle partnership russe nel continente. Pochi giorni fa, dalla Repubblica centrafricana sono giunte notizie dell’arrivo di centinaia di mercenari della Wagner sbarcati nel Paese per “monitorare” le procedure di voto nel referendum costituzionale di fine luglio. E non va dimenticata la presenza degli uomini dello “chef di Putin” dal Sudan al Mali, con infiltrazioni anche in Cirenaica. Infine, dal summit di Vilnius è uscito effettivamente un vincitore dal fianco sud, ma si è trattato del presidente turco Recep Tayyip Erdogan. Segno che quel fronte Nato ha già una potenza in grado di rafforzare il proprio ruolo. Ma si tratta della Turchia.

L’articolo Le spine della Nato, in Africa e nel Mediterraneo l’Alleanza Atlantica ha solo Erdogan proviene da Il Riformista.