Forse la domanda «what is a woman?» non era del tutto centrata, forse la domanda da fare era «what is a mother?». Mika Minio-Paluello, responsabile delle politiche per il clima e l’industria presso il Trades Union Congress ed economista dell’energia, è stata intervistata da ITV sull’aumento del costo della vita: la vediamo che lava i piatti con una spugnetta, spugnetta che evidentemente non aveva mai tenuto in mano in vita sua, poi prende un piccolo catino con dentro tre magliette e riempie la lavatrice, e ti credo che hai le bollette alte se la fai andare con mezzo carico, meno male che sei laureata. Durante l’intervista dice: «A mum like me». Mika Minio-Paluello è un uomo con disforia di genere, il che non lo rende donna e nemmeno mamma, il che non gli conferisce meno dignità rispetto a un altro essere umano. 

La cosa che fa ridere è che per rappresentare la mamma e la donna la scelta è stata quella di metterla a lavare i piatti a mano e a fare il bucato, e io ho come l’impressione che ci siano uomini che non si percepiscono solo donne, ma si percepiscono donne degli anni ’50. Se Minio-Paluello fosse nato donna quelli di ITV sarebbero tutti stati licenziati in tronco per aver rappresentato la donna attraverso stereotipi di genere. La cosa che fa ridere è che è partito un cinema tra quelli che dicevano: «Tu non sei una mamma» e quelli che  «come osi, lei è una donna, lei è una mamma, siete terf», dialogo che sembra liberamente tratto dal film che ogni anno va in onda durante la Festa della Mamma tra le mamme di figli pelosi e le mamme di opere d’ingegno, mamme percepite, mamme alternative, mamme non gestanti, comunque mamme. 

Ma questo è il meno. Vi chiederete: come fa a esser il meno? È il meno perché Mika Minio-Paluello ha postato su Twitter una foto mentre allattava suo figlio, scrivendo: «In the end, I only breastfed my child for a few weeks, I then had to stop because I had a cancer relapse and didn’t want to poison my child, here’s me on the bus to hospital for the 1st chemo round, feeding my child for the last time». Non ero stupita, e non lo ero perché ho fatto un corso preparto dove mi è stato detto che anche chi non aveva partorito poteva allattare. Era un corso tenuto da ostetriche veggenti? Era psicomagia Jodorowsky, è lei? Purtroppo, no. Non credo nemmeno sia un caso che durante il corso preparto ti raccontino che grazie all’allattamento molte mamme abbiano scoperto di avere un cancro al seno perché il bambino non ciucciava, che poi la facciano passare come una bella notizia è un altro paio di maniche. 

Il racconto che fa Minio-Paluello si inserisce perfettamente nella mistica che a tutte noi viene raccontata. Banalmente la lattazione indotta si può praticare con le madri adottive: in sostanza, ti devi imbottire di domperidone che purtroppo non è Dom Pérignon anche se l’assonanza può trarre in inganno, quindi occhio. Il CDC (Centers for Desease Control and Prevention ha pubblicato sul suo sito un link che rimanda a una guida per l’allattamento che inizia così, e secondo me finisce anche così: «Some LGBTQ+ parents may desire to induce lactation, which is to start the production of milk in the absence of a pregnancy». 

I desideri non sono diritti, i desideri non c’entrano niente con la medicina e con la fisiologia, tantomeno quando riguardano terzi. Viene più volte ripetuto in tutta la sezione che non ci sono studi a riguardo, se non un’aneddotica limitata e un caso di lattazione indotta riuscita. La medicina al servizio dell’ideologia non è medicina, è magia. Si rimanda poi a tutta una serie di gruppi Facebook, ricerche da fare su Google, e allora mi chiedo di cosa parliamo quando diciamo «ah ma la scienza, ah ma Lancet ha scritto, ah ma il Phd» se su un sito governativo ti dicono di chiedere ai gruppi di mamme.

E purtroppo, sono andata a vederli questi gruppi di mamme, anzi, sono andata a leggere un blog, nemmeno fossimo nel 2007. Il blog è di Trevor MacDonald, una donna con disforia di genere: vive da papà, ha partorito, allattato, scritto dei libri, un po’ come tutti. Si parte col botto con l’intervista a tale Jenna, donna transgender: «I always thought breastfeeding was an important connection to have with a child. Because I couldn’t carry the child, I thought it was going to be the next best thing. I’d seen many people have that connection through nursing. That felt like something I needed to do». Constatiamo senza sorpresa che il bene del bambino viene solo dopo quello di Jenna, e molto dopo il desiderio di Jenna di allattare. 

Si rimanda poi a un protocollo per la lattazione indotta, peccato solo che quel protocollo sia stato pensato per le donne e non per gli uomini: si assumono domperidone e pillola anticoncezionale. Ma il domperidone si può prendere in allattamento? Dice l’agenzia del farmaco che, insomma: «Piccole quantità di domperidone sono state rilevate nel latte materno. Domperidone può causare effetti indesiderati sul cuore del neonato allattato al seno. Domperidone deve essere utilizzato durante l’allattamento solo se il medico lo ritiene strettamente necessario». 

Questi uomini transgender saranno anche mamme, ma di sicuro non mamme italiane. La mamma italiana prima di prendere un farmaco in allattamento deve sentire la voce del Signore che la chiama a sé e un leggero formicolio al braccio; la mamma italiana prima di dare un antipiretico al neonato deve constatare che il neonato stia quantomeno prendendo fuoco. Nel momento in cui leggo «effetti indesiderati sul neonato» prendo il Peridon, lo saluto caramente, poi lo butto nel cestino a meno che il medico non lo abbia ritenuto salvavita. 

L’allattamento al seno è indispensabile? No. Il bambino muore se non viene allattato al seno? No. Il bambino ti vorrà meno bene se gli dai il latte artificiale? No. Gli uomini possono allattare? No. Quindi, che bisogno c’è di allattare se non per soddisfare il proprio narcisismo?

In questo blog, inoltre, apprendo l’esistenza della teoria della saliva, cosa che mi fa un po’ rimanere male perché pensavo di sapere tutto sulla maternità, ma non avevo calcolato i papà trans: in pratica se il bambino ha un’infezione la sua saliva lo comunica al capezzolo dell’allattante e questa produrrà gli anticorpi per far passare l’infezione, rimaniamo sempre in attesa della risposta del Lancet. Trevor fa parte della Leache League, fa dormire un neonato nel lettone, consiglia libri per bambini di autori indigeni, neri, disabili: fa tutto quello che fanno le mamme di Milano. Trevor nasce donna, Mika Minio-Paluello no. Mi chiedo se questo sia un problema che riguarda chi ti dice che puoi fare delle cose, o di chi quelle cose le fa. 

Ci sono donne che allattano i figli fino ai sei anni: è colpa loro che sono delle spostate o è colpa del ministero che consiglia di allattare fino a quando mamma e bimbo lo desiderano? Se una mamma allatta dopo i due anni è una povera scema pancina, se vediamo un uomo che allatta invece è «stunning and brave». Stanno forse riproducendo l’esperimento di Milgram e non ce l’hanno detto?  

Ai ragazzini viene detto di prendere bloccanti della pubertà anche se non ci sono studi sulla reversibilità, agli uomini viene detto che possono allattare anche se non si sa se quello è latte o un mix di farmaci, perché stiamo sostituendo quello che sentiamo a quello che è. Non è orribile? Non è orribile pensare che un medico anteponga all’interesse di un neonato il proprio posizionamento? Non è orribile pensare di anteporre al bene di nostro figlio l’affermazione di sé stessi? 

Nessuno dei nostri mariti ha mai chiesto di allattare, e se c’è stato chi l’ha fatto probabilmente non è più tra noi. Mi augurerei quindi che gli uomini, oltre all’allattamento, adesso si accollino pure il parto e i nove mesi di gestazione, oltre a dover ascoltare i maschi etero che ti spiegano i dolori del parto, oltre a percepire uno stipendio più basso per poi rinunciare a lavorare perché non ci sono gli asili, insomma tutte quelle cose divertenti che se fossimo uomini non faremmo mai più.

Articolo proveniente da Linkiesta