Si scrive Decreto Salva-Infrazioni Ue. Si legge, accusa il sindaco di Taranto Rinaldo Melucci, “ennesimo golpe che ritarda la messa a norma delle acciaierie di Taranto, quindi il futuro economico della città e la salute dei suoi cittadini”. La maggioranza – a dir la verità i Fratelli senatori, silente la Lega – lo osannano: “Grazie a questo decreto il governo potrà chiudere 8 procedure d’infrazione ed evitarne l’apertura di altre 12 entro settembre”. Il capogruppo del Pd al Senato Francesco Boccia, pugliese come il ministro Fitto che firma il decreto e l’emendamento, la vede diversamente: “È chiaro che il governo ha fatto il patto con Arcelor-Mittal (che detiene il 63% della ex Ilva, il resto è di Invitalia tramite la società Dri soggetto attuatore per la decarbonizzazione, ndr) per rinviare ancora una volta la decarbonizzazione, continuare a prendere i sussidi, tenere bassa la produzione italiana a vantaggio degli altri stabilimenti del gruppo in Europa e nel frattempo non avere grane con la giustizia né con il sindaco”. Sta per scoppiare un nuovo bubbone a Taranto. E in Parlamento- Perché il sindaco ha chiesto e pretende le barricate contro una norma che “smantella ogni garanzia e pensa di poter mettere il bavaglio alla nostra comunità”.

Poiché il dossier Ilva è una delle storie più complicate e dolorose degli ultimi quindici anni, occorre qualche elemento in più per capire che tipo di bomba sta per scoppiare. E’ una miscela che mette insieme i fondi del Pnrr, le scelte strategiche del ministero per lo Sviluppo economico guidato da Adolfo Urso, i poteri del sindaco e quelli della magistratura.

Sabato scorso il sindaco Melucci ha mandato un avviso si naviganti: “Ho il sospetto – disse il sindaco di Taranto – che in quella nebulosa operazione che si chiama revisione del Pnrr ci rimetta proprio Taranto e il miliardo di euro che il Piano destina ai nuovi impianti alimentati a metano o a idrogeno per la produzione di acciaio verde a Taranto”. Se dovesse succedere che levano quei soldi che significano decarbonizzazione rapida, “a fine agosto non rinnoverò l’autorizzazione di impatto ambientale degli impianti di Taranto”. Significa la chiusura degli impianti. La speranza di questa città, dei cittadini e del tessuto industriale “è legata a quei soldi e al fatto che ci danno la sicurezza che entro il 2026 la conversione dal carbone al green è una realtà”.

Il sospetto è diventato incubo tra lunedì e martedì quando, con un vero blitz, il ministro Fitto che ha in carico il Pnrr, i fondi di coesione, il Sud e i rapporti con la Ue, ha presentato un emendamento all’articolo 9 del decreto Salva Infrazioni che centralizza tutte le decisioni sull’acciaieria a palazzo Chigi sottraendole al ministro Urso e al sindaco. L’emendamento è stato approvato e da ieri il testo è in aula al Senato.

A parte il fatto che l’emendamento non c’azzecca nulla con la mission del decreto (“perché crea i presupposti di una nuova procedura d’infrazione” come precisa il senatore Andrea Martella, Pd), la versione di palazzo Chigi è opposta a quella delle opposizioni e del sindaco Melucci. Annusata l’aria di rivolta, ieri il governo è stato costretto a fare un comunicato di precisazioni. L’emendamento approvato, si spiega, “riguarda stabilimenti industriali, o parti di essi, dichiarati di interesse strategico nazionale”. Smentisce divisioni nella squadra di governo – leggi tra Fitto e Urso – agevola la chiusura della procedura di infrazione pendente sullo stabilimento Ilva di Taranto e ne evita altre.

Nel dettaglio, spiega il governo “l’intervento normativo consente di proseguire nell’attività di modernizzazione e di decarbonizzazione dello stabilimento siderurgico di Taranto in attuazione del Piano di risanamento ambientale e delle prescrizioni contenute nell’autorizzazione integrata ambientale. Con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri saranno definiti i criteri per attuare progetti di decarbonizzazione, con indicazione dei termini massimi di realizzazione”. Tutto bene, alla faccia delle solite opposizioni che leggono in modo strumentale ogni iniziativa del governo. Anche la centralizzazione dei poteri a Chigi va letta come “un modo per evitare sovrapposizioni di competenze e di valutazione”.

Chi ha ragione? Il governo che dice che va tutto bene? Oppure il sindaco Melucci e le opposizioni? Il governo che vuole destinare ad altro il miliardo del Pnrr e portare la conversione green delle acciaierie di Taranto sul capitolo dei Fondi di coesione che, come è noto, non hanno certezze sui tempi e sui modi di spesa Il sindaco che vuole i tempi certi del Pnrr o il governo che chiede nei fatti un nuovo rinvio? E, soprattutto, perché un rinvio quando è tutto pronto per la gara che in agosto dovrà assegnare i soldi? E perché lo scudo penale per gli amministratori e l’esautoramento del sindaco?

La posta in gioco per il Paese è altissima. Solo a Taranto Acciaierie d’Italia ha una capacità produttiva di dieci milioni di tonnellate di acciaio l’anno, la metà della produzione italiana che è insufficiente per la domanda industriale del paese. L’altra faccia della medaglia è che la produzione di acciaio è responsabile del 5% delle emissioni a effetto serra. Solo a Taranto l’ex Ilva ancora oggi, nonostante le progressive chiusure, impiega 12.500 persone a cui vanno aggiunte molte migliaia dell’indotto. Posta in gioco altissima. Tempo a disposizione molto poco. I bandi sono stati lanciati dal Dri, la società del Mef che è il soggetto attuatore del Pnrr per la decarbonizzazione del ciclo dell’acciaio. In corsa ci sono due società, una del nord Italia e l’altra tedesca. Ai primi di agosto il verdetto. Chi sta rallentando tutto sembra essere proprio l’attuale socio di maggioranza Arcelor Mittal che continua a mettere ostacoli alla decarbonizzazione di Taranto.

L’articolo Blitz del Governo: spunta lo scudo penale per l’ex Ilva di Taranto proviene da Il Riformista.