Nel Si&No del Riformista spazio al ritorno di Biancaneve e la nuova versione politically correct. Ne discutiamo ‘internamente’ con Alessio De Giorgi, favorevole perché “è semplicemente un remake più moderno, consono e inclusivo“, e Benedetta Frucci, contraria perché “le fiabe sono fatte per sognare non per rieducare all’ideologia woke”.

Qui il commento di Benedetta Frucci

Se si accantona per un attimo il messaggio illiberale e le conseguenze devastanti sulla libertà di espressione della religione woke, l’ultraprogressismo del politicamente corretto ha tratti di ridicolo che spesso fanno commettere l’errore di non prendere sul serio questo nuovo stalinismo. Effettivamente, quando ho letto di una Biancaneve di origine latina, mi è venuto da sorridere. Sarebbe come se Jasmine diventasse bianca o Mulan avesse gli occhi azzurri.

Bianca come la neve. È alla sua pelle infatti che la Principessa Disney deve il suo nome. E lo è in tutte le versioni dei fratelli Grimm, tanto da rendere nulla l’obiezione di chi sostiene che in fondo, nel cambiare le fiabe non ci sia nulla di male, perché in una versione della storia la madre voleva commettere cannibalismo sulla povera Biancaneve e questo punto, dalla Disney, è stato omesso. E neppure vale la necessità per le bambine di altre etnie di rivedersi nelle protagoniste delle fiabe: perché mentre una Barbie disabile è un meraviglioso messaggio di inclusione e una Sirenetta dalla pelle scura pure, rendere Biancaneve latina è davvero insensato. Quello che invece fa balzare dalla sedia, è l’assurdità del portare l’ideologia nel mondo delle fiabe. Perché non ci si limita a cambiare colore alla pelle di Biancaneve, scelta ridicola ma innocua.

Si fa addirittura fuori il Principe Azzurro perché sarebbe il simbolo del patriarcato. Così, si cancella il sogno delle bambine, si cancella la ragione stessa delle fiabe. Demonizzando fra l’altro la figura maschile. Che poi, se c’è libertà di scelta, qualcuno mi può spiegare perché mai una ragazza non dovrebbe essere libera di desiderare di essere salvata E perché l’emancipazione femminile dovrebbe coincidere con la cancellazione del maschio?
Sui 7 nani inclusivi niente da dire di per sé: il punto non sono le singole scelte, bensì ciò che ci sta dietro.

Il motivo dichiarato tranquillamente di questa riscrittura delle fiabe e dei libri (Biancaneve è solo l’ultimo caso) è quello di “rieducare” il pubblico alla nuova ideologia woke. Non la chiamano così, ti spiegano che i bambini vanno educati all’ inclusività. La neolingua ha questa caratteristica: trasforma tutto in espressioni bellissime, tali da mascherare la realtà e da far sì che se provi a criticarle, la tua etichetta di razzista o vile conservatore sia definitivamente affibbiata. Con tutte le conseguenze del caso, dalla censura, passando dalla gogna mediatica, fino ad arrivare alla violenza.

Non è un caso se tantissimi intellettuali di sinistra e femministe si siano ribellati a questa deriva.
E anzi, la woke culture è un parassita che affligge la sinistra e fornisce consenso alla destra: Tony Blair per questo ha esortato i laburisti a “rigettare la woke culture” e “posizionarsi chiaramente vicino al centro di gravità del popolo britannico, che vuole un trattamento equo per tutti e il rigetto del pregiudizio, ma diffida e non ama la mentalità woke della cancel culture”. Perché il riformista lavora all’inclusione con il pragmatismo dei fatti, di una scuola efficiente e accessibile a tutti, dei posti di lavoro e della crescita che toglie dai margini, dell’ascensore sociale che porti tutti a stare meglio, non della colpevolizzazione del privilegio, che è materia per la religione e non per la politica. Su un punto poi serve chiarezza.

Non esiste un movimento woke “moderato”. Esiste il rispetto del diverso, esiste l’integrazione, non esiste l’indottrinamento in un modello di Stato liberale.
Ricordo due modelli di società in cui si utilizzavano canzoni, fiabe, sport per instillare convinzioni ideologiche fin dall’infanzia: il fascismo e l’Unione Sovietica.
Politicizzare l’infanzia è il primo obiettivo di uno Stato Etico: uno Stato cioè che non si basa sul diritto, ma che ritiene di avere il compito di educare i sudditi (non più cittadini) incapaci di una loro autonomia di pensiero.

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