Nel Si&No del Riformista spazi al dibattito sul concorso esterno in associazione mafiosa: è giusto modificarlo? Favorevole il senatore di Forza Italia Maurizio Gasparri secondo cui “va definito in maniera più chiara per evitare interpretazioni mutevoli“. Contrario invece Eugenio Albamonte, ex presidente dell’Associazione Nazionale Magistrati. Il concorso esterno non va modificato perché “può danneggiare il contrasto alle mafie e creare zone di impunità” sostiene.

Leggi il commento di Eugenio Albamonte:

Il concorso esterno, per come viene oggi definito in giurisprudenza, consente di punire una vasta gamma di condotte (non tutte ipotizzabili in astratto) e di sanzionare i soggetti che, pur non essendo stabilmente affiliati al gruppo criminale, garantiscono il loro contributo per realizzarne le finalità illegali. Tali finalità non sono rappresentate solo dalla commissione di singoli delitti o dal controllo di un territorio ma, ad esempio, dal controllo anche monopolistico di attività economiche e delle varie manifestazioni della vita sociale, che viene attuato attraverso i legami del gruppo mafioso con soggetti esterni.

Questo contributo – per quanto accertato in tanti processi – è fornito da professionisti, imprenditori, pubblici amministratori, a volte appartenenti alle forze dell’ordine e persino alla magistratura o all’avvocatura. Persone non stabilmente inserite nell’organizzazione mafiosa ma portatrici di un loro specifico apporto, spesso insostituibile, soprattutto quando non ci sono appartenenti al gruppo criminale che abbiano le stesse competenze.

I soggetti di cui parliamo sono molto preziosi per il gruppo criminale e conseguentemente è importante avere strumenti giuridici adeguati a definire le loro responsabilità penali.
Ovviamente la norma di riferimento non può che essere il 416 bis che è già una norma ampia perché tipizza una vasta gamma di attività in modo però molto puntuale e tassativo. Per definire il concorso esterno si tratta quindi di applicare la stessa tipizzazione a condotte poste in essere da soggetti non affiliati ma che pongono in essere quei determinati contributi di cui si è detto.

Le sentenze che nel tempo si sono susseguite hanno ben definito le varie forme di contributo, applicando le norma già esistenti in materia di concorso di persone nel reato e di associazione mafiosa. Queste due norme, attualmente vigenti combinate dalla giurisprudenza, consentono di punire adeguatamente il fenomeno. A questo punto una tipizzazione dovrebbe essere solo riepilogativa di quanto già definito in giurisprudenza e quindi sostanzialmente inutile. Oppure rischierebbe di essere riduttiva rispetto alla reale manifestazione del fenomeno e allora creerebbe vuoti di tutela e zone di impunità.

Aprire un cantiere normativo su questo delicato settore porterebbe inevitabilmente alcuni soggetti, gruppi, categorie professionali ad esercitare sul legislatore pressioni volte a limitare la possibilità di una loro incriminazione, quanto meno in relazione al più ampio contesto criminale in cui si inseriscono le condotte. Con il rischio di una normazione che, alla fine dell’iter, risulti fortemente ridimensionata rispetto all’attualità e danneggi enormemente il contrasto alle mafie.

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