«L’Italia sta affrontando il maggior flusso migratorio in Europa». E se altrove diminuiscono i flussi, da noi gli arrivi sono aumentati. Lo dice al Corriere Hans Leijtens, olandese dal marzo scorso direttore esecutivo di Frontex, l’Agenzia europea della guardia costiera e di frontiera, che ieri ha incontrato a Roma alti rappresentanti della direzione centrale dell’immigrazione e della Polizia delle frontiere, della Guardia costiera e della Finanza. E oggi a Pozzallo visiterà gli hotspot e i punti di sbarco, vedrà le autorità locali e i rappresentanti di Frontex.

«Il Mediterraneo centrale è una priorità per noi. Dobbiamo combattere i trafficanti di esseri umani. Non basta prendere i pesci piccoli. Dobbiamo intensificare la collaborazione tra gli Stati membri, le agenzie di tutta Europa, l’Europol, l’Interpol e cercare di adottare una sorta di approccio globale per combattere queste reti liquide», dice.

«C’è una tendenza alla diminuzione della maggior parte dei flussi, mentre in Italia gli arrivi sono aumentati di oltre il 150% rispetto all’anno scorso», spiega. «Dobbiamo guardare sia alla situazione attuale sia discutere se la collaborazione di Frontex può aumentare. Abbiamo tre aree prioritarie. Al Nord Bielorussia e Russia continuano a usare la migrazione come un’arma. Poi ci sono i Balcani occidentali, usati come porta d’ingresso dai migranti provenienti da Siria e Afghanistan. C’è un grande aumento dei flussi nel Mediterraneo centro-meridionale, da Tunisia e Libia. L’aumento è quasi del 140% rispetto all’anno scorso, sono circa 65.600 arrivi da gennaio».

Anche il modus operandi dei trafficanti è cambiato: «Assistiamo a due diversi tipi di azione. Uno si basa sull’uso di vecchi pescherecci, spesso provenienti dall’Egitto: navigano vuoti verso la Libia e poi vengono riempiti al massimo per aumentare il profitto. Dalla Tunisia arrivano barche di fortuna, con circa 30 persone. I trafficanti ne mandano a Lampedusa 30 o 40 alla volta per sviare la Guardia Costiera. In entrambi i casi è una sfida enorme la ricerca e il salvataggio».

Dopo tragedie come quelle di Cutro e Pylos, Hans Leijtens prende le distanze e dice: «Vorrei poter fare di più ma siamo limitati dal nostro regolamento che dice che possiamo imbatterci in operazioni di ricerca e salvataggio quando svolgiamo i nostri compiti di sicurezza delle frontiere. Con gli Stati collaboriamo con le operazioni congiunte, in stretta collaborazione con le autorità governative che definiscono il nostro ruolo. Oppure fornendo elementi che consentano ai Paesi di prendere decisioni informate. A Cutro abbiamo usato la sorveglianza aerea. Nel caso della tragedia di Pylos, la nostra nave era a due giorni di navigazione». Ma «in entrambi i casi abbiamo fornito informazioni sulla situazione. Poi spetta alle autorità italiane e greche decidere come reagire. Sono in corso indagini. Non ho informazioni che confermino già che qualcosa è andato storto. Ma quando si perdono così tante vite umane significa che siamo stati inadeguati».

In passato Frontex è stata accusata di avere chiuso un occhio sui respingimenti. «Servire e proteggere dovrebbe essere nel nostro Dna», risponde Leijtens. «Ma non abbiamo poteri investigativi, dipendiamo dalle autorità nazionali verso le quali devo avere fiducia. Se ci sono segnali strutturali che uno Stato Ue non è all’altezza, il regolamento prevede che io possa valutare e persino interromperne la cooperazione. Per me chiudere un occhio non è la strada da seguire». Ma «un’interferenza più diretta di Frontex con l’effettiva sorveglianza delle frontiere non è auspicabile né realistica».

E poi conclude: «La nostra ambizione dovrebbe essere di non far morire nessuno anche se è irrealistico. Ci sono però dei limiti in quello che possiamo fare. La decisione di una missione navale spetta agli Stati Ue».

 

Articolo proveniente da Linkiesta