Federico Freni, avvocato, docente universitario, deputato e per la seconda volta sottosegretario al Ministero dell’Economia, è uno degli esponenti della maggioranza più coinvolti sui dossier economici. A “Il Riformista” risponde su delega fiscale e Pnrr.
Da tempo si evoca una vera riforma del Fisco: perché questa dovrebbe essere la volta buona
La riforma nasce dalla necessità di dare un assetto organico al sistema fiscale, oggi troppo frammentato. Veniamo da anni di interventi episodici, spesso legati solo a ragioni di consenso. Questo è il momento di cambiare. La priorità è ridurre la pressione fiscale, diventata insostenibile per cittadini e imprese, privilegiando i redditi medio-bassi. Non siamo il governo che promette il libro dei sogni: preferiamo un approccio più realistico, ma non per questo meno incisivo. Gli obiettivi sono chiari e ben definiti, a iniziare dalla flat tax.
Quali sono gli elementi qualificanti della riforma
Il disegno di legge delega interviene su tutti gli ambiti del fisco, dai tributi allo Statuto del contribuente, dalle procedure di accertamento e riscossione alle sanzioni. Puntiamo sulla revisione dell’Irpef, con un primo passaggio che comporterà la riduzione delle aliquote, da quattro a tre, per arrivare poi alla flat tax. Tra le tante misure ap-provate per i lavoratori autonomi e le partite Iva, mi piace sottolineare un’importante novità: la possibilità di rateizzare le imposte, senza incorrere in sanzioni.
Il testo varato dalla vostra maggioranza è molto simile a quello dell’epoca Draghi. Una scelta di politica di continuità col precedente governo?
Questa delega ha un’ambizione differente, che supera il tema della continuità o della discontinuità rispetto al passato: guardiamo all’interesse del Paese. Nel farlo, come è prerogativa, anzi direi dovere, di ogni governo, ci stiamo muovendo lungo direttrici identitarie. Ma mi permetto di insistere: le idee e le proposte del centrodestra non guardano alla tutela di interessi di parte, bensì a un disegno organico, in cui rientrano tutti, nessuno escluso.
Il voto a favore di Azione-IV ha dimostrato che anche l’opposizione, se ascoltata, può concorrere a migliorare provvedimenti della maggioranza. Un metodo da replicare?
Il contributo di Azione-IV ha permesso di arricchire i contenuti della delega con indicazioni puntuali e responsabili. La riforma del fisco può e deve raccogliere le indicazioni di tutti i soggetti coinvolti, senza ovviamente snaturare l’indirizzo politico di base. Certamente ci sono altri terreni di possibile collaborazione: il PNRR su tutti.
A proposito di Pnrr, lei è tra i più ottimisti al Governo sul raggiungimento degli obiettivi. Sulla base di cosa
Sui numeri dell’impegno che stanno mettendo in campo tutti i soggetti attuatori, dai ministeri agli enti locali. Avremmo potuto giocare in difesa e non tenere conto dell’impatto generato dalla guerra in Ucraina. Abbiamo scelto, invece, di affrontare in modo serio le criticità, proponendo una revisione funzionale a impiegare al meglio le risorse. Forse qualcuno ha dimenticato che una parte considerevole del Pnrr, 122.6 miliardi, è fatta di prestiti, cioè debito. Non possiamo certo permetterci di buttare i soldi.
I ritardi fin qui registrati, a cosa sono dovuti?
Principalmente dall’inflazione. L’aumento esponenziale dei costi delle materie prime si è riversato sul già delicato procedimento di assegnazione delle risorse. Se il ce-mento costa di più rispetto a quanto stimato appena qualche mese prima, un’impresa ci pensa due volte prima di partecipare a un bando. Anche qui: avremmo potuto prendere atto della situazione, contando su un riassorbimento fisiologico dei ritardi; ma i soldi vanno spesi subito e bene. Abbiamo quindi deciso di rimodulare alcuni obiettivi, relativi alla quarta rata, e in generale di rivedere l’intero Piano, liberando ri-sorse dai progetti che sono irrealizzabili entro l’estate del 2026, per concentrarle sui soli progetti realizzabili.
Sappiamo che l’interlocuzione con la Commissione europea non è mai semplice: quali sono i vostri rapporti con Bruxelles?
L’Italia è uno dei paesi fondatori dell’UE e le interlocuzioni con Bruxelles sono da sempre improntate ad un dialogo serio e costruttivo. Deve però essere chiaro che le scelte su temi cruciali devono essere prese nell’interesse di tutti i paesi dell’Unione e non solo di alcuni. Questo consentirà di ridurre le polarizzazioni a cui abbiamo assistito negli ultimi anni e di costruire un’Europa più solida e più coesa. Solo così potremo guardare ad una politica industriale comune, che altrimenti resterà un miraggio.
Al di là delle difficoltà politiche per riuscirci, quale alternativa proporre al Patto di stabilità?
La proposta della Commissione è sicuramente un passo importante. Una progressiva riduzione del debito è condizione essenziale per stabilità, sostenibilità e crescita. Credo tuttavia che questi obiettivi, ampiamente condivisibili, non debbano passare necessariamente attraverso un rafforzamento del vincolo esterno sulle politiche economiche nazionali, ovvero di automatismi penalizzanti. Così pure è necessario porre adeguata attenzione non solo alla quantità, ma alla qualità della spesa, valorizzando la componente legata gli investimenti, soprattutto su transizione green e digitale. Solo spendendo bene si può alimentare una crescita sana e sostenibile.
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