L’altitudine media della Valle D’Aosta è duemilacento metri e questo ne fa la regione più alta d’Italia. Per dare un termine di paragone, il Piemonte, che è la seconda regione più alta, si ferma a quattrocentoventi. È inevitabile quindi che i valdostani, e tutti quelli che a questi luoghi sono legati, abbiano un’innata propensione per l’altitudine e per l’esplorazione dei ghiacciai, che nella regione sono ben centottantaquattro.
In questa storia si intrecciano le vite di chi, quella spinta verso l’alto, l’ha abbracciata facendone un tassello fondamentale della propria esistenza, spingendosi in avventure estreme. O dando anima e corpo per costruirci un bivacco, che oltre ad essere un rifugio essenziale per gli alpinisti, è anche un gioiello architettonico al limitare di uno dei ghiacciai più spettacolari della Valle D’Aosta, il Colle del Ruitor.
Foto di André Barailler.
L’architetto Massimo Roj è il fondatore e l’amministratore delegato di Progetto CMR, uno degli studi di architettura e progettazione integrata più importanti del nostro paese. Ed è anche amico fraterno di Luciano Camardella, uno dei pilastri della comunità del comune valdostano di La Thuile. Ed è padre di Edoardo, maestro di sci e alpinista la cui vita si è interrotta a ventotto anni su un altro ghiacciaio, quello del Monte Bianco.
Una valanga poco sotto Punta Helbronner, tra il colle del Gigante e il canale Tassotti, ha infatti trascinato via Edoardo Camardella e il suo amico Luca Martini. Dal colle del Rutor il Monte Bianco si vede perfettamente: le grandi finestre del bivacco progettato da Massimo Roj puntano proprio lì.
La struttura è composta da due moduli identici che, visivamente, creano due punte di metallo che mirano al cielo: due metri e mezzo di lunghezza per due di larghezza, nove metri quadri in totale. «L’elemento duale è quello che ha guidato i miei schizzi fin da subito», spiega Roj.
«Edoardo e Luca erano due amici, siamo a cavallo tra due valli, al confine tra due paesi, La Thuile e Valgrisenche. Ho cercato di far sì che entrambi i profili fossero sempre visibili, anche da lontano, per questo li ho sfalzati un po’» continua Roj. «Da dentro si vede sempre il Monte Bianco, incorniciato dai serramenti della crociera: è un modo per far sì che chi si spinge fin quassù possa essere più vicino ad Edoardo. Questo era il suo punto preferito, dove passa anche un percorso che lui stesso ha ideato», aggiunge.
Edoardo era un alpinista esperto e queste valli e ghiacciai per lui erano casa. Questo piccolo e straordinario rifugio a 3.364 metri d’altitudine porta il suo nome, conserva il suo volto impresso a fuoco nel legno sulla parete destra e farà da rifugio a tutti quelli che, come lui, amano le avventure in montagna.
In inverno si può salire fin qui con le pelli, dormire e poi all’alba scendere in neve fresca. D’estate è il punto perfetto per riposarsi nel concatenare l’esplorazione di due valli. Conta in totale sei posti letto ed è una struttura totalmente autosufficiente dal punto di vista energetico grazie ai pannelli fotovoltaici che ricoprono parte delle pareti e che alimentano una serpentina nella pavimentazione che serve il riscaldamento, le prese della corrente e una stazione meteo. Sotto al fabbricato sono alloggiate alcune batterie di accumulo, che raccolgono energia attraverso i pannelli solari e la restituiscono al bivacco per renderlo un’architettura abitabile. La porta della struttura è come quelle che si utilizzano di norma sulle imbarcazioni e garantisce una tenuta stagna che ha sia la funzione di mantenere costante la temperatura all’interno sia di proteggerla in caso di forte vento.
Progetto CMR ha una grande expertise nella progettazione integrata, nel far sì che le proprie strutture si fondando con il territorio nel modo più armonico possibile e, non da ultimo, siano poco impattanti dal punto di vista ambientale. «La struttura è tutta in acciaio e ha un rivestimento termico su cui poi è stato applicato un rivestimento ligneo, è lì che ho voluto il volto di Edoardo: è sorridente e guarda le sue montagne», dice Roj.
Foto di André Barailler.
Realizzare un’opera del genere sul Colle del Ruitor ha richiesto una progettazione lunga sei mesi e una realizzazione piuttosto complessa. Il vento, in questo punto a 3.364 metri, può arrivare fino a duecentottanta chilometri orari di velocità e le temperature possono raggiungere i quaranta sottozero.
«Abbiamo dovuto ancorare la struttura al terreno tramite dieci fori che arrivano fino a cinque metri di profondità. Per farlo è stato necessario portare sul ghiacciaio una trivella: in quel punto c’è il permafrost, uno strato perennemente ghiacciato sul quale però non si può ancorare una struttura. Questo ci ha imposto di andare ancora più in profondità. Lì sono state messe delle barre d’acciaio con un cemento a presa rapida, in grado di lavorare bene anche in presenza di freddo e ghiaccio», spiega l’architetto.
Un’impresa del genere ha dei costi decisamente non trascurabili, nonostante siano stati minimizzati i viaggi in quota e si sia cercato di costruire la struttura nel modo meno impattante possibile. Massimo Roj nel mondo dell’architettura è un nome importante. Presiede la holding del gruppo che controlla Progetto CMR e ha firmato progetti di rilievo come le torri Garibaldi a Milano e, in montagna, la nuova struttura del Mottolino a Livigno. Per raccogliere i fondi necessari alla realizzazione del Bivacco, Edoardo Camardella ha innescato una cordata di solidarietà che ha coinvolto partner importanti come Skyway Monte Bianco, la funivia panoramica che conduce sul ghiacciaio proprio a Punta Helbronner, Eolo che fornisce il Wi-Fi all’interno del bivacco, e Meteo.it che ha installato qui la stazione meteo più alta di tutte le Alpi Graie.
«Prima della stazione meteo che abbiamo installato sul bivacco non avevamo informazioni precise sulle condizioni metereologiche in questo punto, abbiamo chiesto aiuto all’aeronautica francese. Anche il montaggio è stato abbastanza complicato: abbiamo assemblato il bivacco giù a valle, poi è stato una stagione nel piazzale di Planibel (località di La Thuile) davanti alle funivie, perché volevamo dare l’opportunità a tutta la comunità di vederlo», dice Roj.
Il costo dell’intera operazione ha sforato i trecentomila euro, un costo rilevante poiché un progetto del genere richiede del materiale adatto. Innanzitutto, ad aver avuto un impatto significativo sui costi è stato il trasporto. L’architetto, infatti, ha spiegato che c’era solo un tipo di aeromobile, un elicottero a doppia pala di origine russa che è disponibile solo in Svizzera, che avrebbe potuto sopportare il peso della struttura a quell’altitudine.
Foto di André Barailler.
«Per portarlo a 3364 abbiamo dovuto portare su prima i due involucri, ma tutto il resto lo abbiamo dovuto smontare. La scorsa estate la portanza degli elicotteri risultava molto diminuita per via dell’enorme caldo: questo ha reso necessario fare moltissimi viaggi: abbiamo dovuto riallestire l’interno completamente in quota», spiega Roj.
Inoltre, l’architetto ha menzionato che anche il vetro non poteva essere trasportato in un unico viaggio. L’elicottero ha dovuto fare delle soste ogni mille metri per aprire delle valvole installate appositamente per evitare che il vetro esplodesse. Questo ha reso ovviamente necessario disporre di partner affidabili e solidi.
La famiglia di Edoardo, il padre Luciano e la madre Silvia, sono membri attivi della comunità, ma arrivare fino al punto in cui sorge il bivacco non è uno scherzo, sono mille e settecento metri di dislivello partendo da La Thuile e pochi meno dal versante di Valgrisenche. Per questo in paese è stato replicato quello che viene chiamato Bivacchino. Questa seconda struttura è in scala uno a uno e conta solo il frame in legno. È stata posizionata di fronte al centro sportivo che Edoardo ha contribuito a fondare e che ha gestito fino alla sua scomparsa. Qui, oltre alle foto che raccontano la storia del bivacco, c’è un qrcode che, grazie alla realtà aumentata, permette di vedere l’interno del bivacco e una telecamera panoramica da cui si può osservare sia il bivacco che tutte le catene montuose intorno, il massiccio del Monte Bianco in primis.
Articolo proveniente da Linkiesta