L’OCSE, l’organizzazione internazionale che si occupa di studiare l’economia dei paesi sviluppati, ha pubblicato ieri il suo rapporto annuale sulle prospettive future dell’occupazione. A parte l’andamento medio delle economie sviluppate, è interessante valutare l’andamento comparato dell’economia italiana, che presenta luci e ombre: luci non sfolgoranti ma nette sul tasso di disoccupazione, a cui si contrappongono ombre economicamente e politicamente cupe dal lato dei salari reali.

Partiamo dalle luci nette: il tasso di disoccupazione in Italia nel maggio 2023 era pari al 7,6%, cioè due punti sotto il tasso attorno a cui gravitava prima della pandemia. Rispetto alle previsioni catastrofiche dei #MoriremoTutti – secondo cui il paese sarebbe sanitariamente ed economicamente imploso a motivo della pandemia – il dato di fatto è che il recupero del Pil dopo l’orribile secondo trimestre del 2020 è stato altrettanto repentino, e anche dal lato lavorativo la ripresa è stata marcata, come evidenziato dal miglioramento del tasso di disoccupazione. Un buon effetto collaterale di ciò è che una vasta schiera di economisti e politici dirigisti non ha trovato materiale catastrofico sufficiente per battezzare una nuova teoria economica secondo cui lo stato deve essere il datore di lavoro strutturale di ultima istanza.

Dal lato delle ombre cupe l’OCSE sottolinea invece come – prendendo come riferimento la fine del 2022 – i salari reali italiani siano calati in media del 7% rispetto al periodo pre-pandemico, e che questo andamento permanga anche nella prima metà del 2023: l’elevato tasso di inflazione che ci accompagna dalla seconda metà del 2021 sta danneggiando in maniera forte il potere d’acquisto dei salari. Riflettiamo su questo punto: nel medio lungo termine è quasi una tautologia evidenziare come i redditi medi possano crescere a tassi in media elevati se e soltanto se la produttività del lavoro cresce in maniera altrettanto robusta (il reddito medio altro non è se non una misura della produzione media per lavoratore).

Tuttavia, se si blocca il meccanismo tale per cui anche il salario reale (cioè la retribuzione dei lavoratori) cresce con la produttività e il reddito medio, allora stiamo assistendo a una degenerazione del sistema economico che dovrebbe preoccupare tutti i cittadini, a prescindere dalla loro collocazione ideologica. Mi riferisco all’assottigliamento pericoloso della classe media, la quale non beneficia degli incrementi straordinari di reddito di coloro i quali hanno come punto di partenza un elevato capitale umano e/o patrimoni molto sostanziosi, e nel contempo non può reggersi su meccanismi di intervento pubblico come il reddito di cittadinanza per rimanere classe media.

L’articolo Se i salari scendono, la classe media sarà penalizzata: la degenerazione del sistema economico proviene da Il Riformista.