Ciò che fa di Andy Warhol un caposaldo dell’arte contemporanea è la sua straordinaria capacità di interpretare la storia occidentale attuale, le sue contraddizioni e le sue difficoltà attraverso un lavoro plurivoco e filosofico. Uno dei suoi temi fondamentali è quello dell’identità: anticipando le riflessioni del nuovo millennio, Warhol produsse dai primi anni ‘60 del Novecento immagini seriali di oggetti, persone, situazioni, trasformandoli in simboli e obbligando l’osservatore a una riflessione sul senso – prima ancora che sul valore – della definizione, dell’etichetta, dell’identificazione insomma tra contenuto e parola, tra appellativo e persona.

Quasi una riflessione epistemologica, sicuramente semantica, che si trasmette in molti modi: primo tra tutti con la ripetizione ossessiva della stessa immagine stampata grossolanamente, con sbavature e discostamenti di vernice nelle sovrapposizioni della serigrafia, ma anche con la scelta di colori esagerati, tinte che modificano la percezione dei soggetti, e ancora con l’affidamento della produzione dei dipinti agli assistenti, sancendo definitivamente il passaggio tra l’idea e la manualità dell’artista e allo stesso tempo lavorando sulla definizione – ancora una volta l’identità – di chi crea arte. Infine la scelta dei soggetti: volti o oggetti conosciutissimi (persone come prodotti, in uno scambio costante e simbolico) che perdono la propria individualità ed essenza nel momento in cui, rappresentati in un dipinto, diventano simbolo di qualcosa di più grande, si tratti di una generazione, di uno stile di vita o di un intero continente. Per questo la mostra “Andy Warhol. Serial Identity” che apre oggi a San Marino, nelle due sedi di Palazzo SUMS e Galleria Nazionale, fino all’8 ottobre, ha un valore sociologico oltreché estetico: a più di 35 anni dalla sua morte, l’artista americano continua a rappresentare un faro nella cultura del nostro tempo, spiegando con le sue opere la comunità umana e le sue ossessioni. Scrive Maurizio Vanni, curatore dell’esposizione con Emma Zanella, nel catalogo che accompagna la mostra: «La dimensione creativa di Warhol è unica perché unisce l’io umano all’io sociale, l’uomo all’artista, la verità alla finzione, la realtà memoriale alla realtà ideale».

Una selezione di 60 capolavori provenienti da importanti collezioni private e da istituzioni internazionali sono stati scelti dai curatori per raccontare la parabola creativa di Warhol, dai primi disegni realizzati per l’editoria e la moda negli anni ‘50, fino ai celeberrimi lavori che hanno per soggetto Marilyn Monroe, Mao, Liza Minnelli, Jackie Kennedy, e naturalmente la lattina di Campbell’s Soup, passando per la serie di lavori intitolati “Ladies and Gentlemen” dedicata a travestiti e drag queen di origine afroamericana e ispanica.

Non manca naturalmente una selezione di opere come le copertine per i dischi dei Velvet Underground & Nico e dei Rolling Stones, i libri che ha illustrato e naturalmente la rivista che ha fondato e diretto dal 1969, Interview Magazine, in un percorso di narrazione di quello che fu un autentico, sistematico metodo di ricerca e realizzazione di immagini, per qualunque media fossero poi destinate. Conclude l’esposizione una sezione dedicata alle produzioni televisive, presentate in mostra con una documentazione di Andy Warhol’s T.V. – Special Project, una video compilation che offre uno spaccato della scena artistica internazionale del tempo i cui contenuti originali sono stati concessi in prestito dall’Andy Warhol Museum di Pittsburgh.

Nella sede della Galleria Nazionale è ospitato un focus sulle opere del tema “Death and Disasters”, in cui l’artista partiva da immagini di cronaca di morte per elaborare stampe talmente neutre e ripetute da lasciare indifferenti – anticipando anche in questo caso il diffuso atteggiamento contemporaneo di fronte alle tragedie riportate dai media. La sezione è di fatto una sorta di omaggio alla partecipazione di Warhol alla sesta Biennale di San Marino a cui partecipò con un’opera di questa serie nel 1967, invitato da Giulio Carlo Argan.

«La realtà, qualunque realtà, ha lo stesso valore, lo stesso spessore, la stessa patina: la Coca Cola è una cosa, come una cosa è Marilyn, Mao, la sedia elettrica e la morte, rappresentata in tutta la sua crudezza e ineluttabilità», conclude la curatrice Zanella, commentando come Warhol vuole trasmettere i propri contenuti. Una modalità che ha il sapore di un social, quando ancora non se ne immaginava nemmeno l’esistenza.

L’articolo San Marino, al via oggi la mostra “Andy Warhol. Serial Identity”: l’inimitabile proviene da Il Riformista.