La “questione sociale” non spiega la rivolta della periferia francese. Jean-Luc Mélenchon, attuale leader de La France Insoumise, il principale gruppo politico di sinistra del Paese, ha evocato la “lotta di classe” e ha intravisto i prodomi della rivoluzione. In realtà, però, a beneficiare elettoralmente della rivolta sarà molto probabilmente Marine Le Pen.

I numeri delle proteste sono impressionanti. Le automobili e gli edifici dati alle fiamme, gli scontri con la polizia, i negozi saccheggiati non sono fenomeni che in Francia si lasciano spiegare con la diseguaglianza o con la redistribuzione che manca, non hanno origine nel cattivissimo modello liberale-occidentale, e non indicano la via verso il socialismo salvifico. È stato appiccato il fuoco in scuole e palazzi, è stata incendiata anche una biblioteca che serviva un quartiere disagiato alle porte di Metz. La lettura più facile è quella di imputare al welfare francese di non raggiungere le periferie. Sarà davvero così?

In Italia si parla di “welfare ad orecchio”, certi del fatto che comunque non si può sbagliare a lamentarne lo “smantellamento” e a buttarla sulla povertà. Per quanto riguarda la Francia, però, si tratta di un errore di prospettiva. Non mi dilungo, basterebbe Wikipedia o il sito del Caf per capire come funziona, ad esempio, il Revenu de solidarité active, che fornisce un reddito minimo ai disoccupati. Senza parlare delle numerose allocazioni per l’alloggio, per i figli e così via. La Francia, poi, è il paese delle 35 ore, dell’ampia rappresentanza sindacale, della sanità gratuita. È l’unico grande paese europeo che non ha ancora riformato il proprio welfare e lo abbiamo visto con le pensioni, che sono ferme a vent’anni fa. Gli inglesi hanno modificato il proprio welfare con Tony Blair, i tedeschi con Gerhard Schröder. Per chiarezza: il welfare non è stato “smantellato”: si è cercato di ridurre l’incidenza della trappola della povertà.

Qui c’è un punto interessante. Se il welfare può essere chiamato in causa non è per la sua carenza o per la mancanza di finanziamenti, ma piuttosto per la trappola della povertà. Unita ad altre problematiche – quella urbanistica, quella ideologica, quella identitaria e religiosa – la povertà contribuisce a minare il senso di cittadinanza.

L’ambizione del welfare è di essere un volano di crescita, unendo flessibilità e sicurezza. Se però è regolato male, può essere un potente incentivo a restare nella condizione di povertà, il che significa che può diventare un incentivo a restare sotto un certo reddito per non perdere i benefici del welfare.

Anche se non vale per tutte le banlieue, alcune sono diventate delle gigantesche trappole. In partenza erano già anonime e disfunzionali. Sono dei luoghi di spaccio, con la presenza di qualche forma di criminalità organizzata. Addirittura, in alcuni quartieri periferici la polizia non mette piede. Sono dei “non-luoghi”, come direbbe Marc Augé, che hanno operato da incubatori della carenza di identificazione con la nazione di quei cittadini che, sulla carta, sono francesi, ma che francesi non si sentono. È significativo che per Cedric Chouviat, ucciso anche lui ad un fermo di polizia, nessuna banlieue si è sollevata: non c’è stata un’identificazione con la vittima, che era solo un francese, non uno dei “nostri”.

L’urbanistica gioca un ruolo importante nelle dinamiche sociali, ma questo aspetto non arriva alla coscienza in tutta la sua portata. Lo schema della questione sociale “ricchi e poveri” è pigro e banale, ed è un facile alibi per tutti, da una parte e dall’altra. L’urbanistica in Francia riflette, invece, in modo evidente una diversità di cittadinanza. Ma il problema non è solo francese.

Non è un caso se casermoni e quartieri anonimi sono lo sfondo di tanta musica di contestazione rock e rap. Del resto, anche Celentano cantava agli inizi della grande urbanizzazione: «Perché continuano a costruire le case e non lasciano l’erba». L’antioccidentalismo della società liquida e anonima, che è una forma di pensiero reazionario come lo sono in genere le liturgie sul “nichilismo occidentale”, trova un alleato nel fallimento della pianificazione delle città, che ispira le idee di anonimato e disumanizzazione. Spiace per l’utopia di Le Corbusier, ma i casermoni in stile sovietico sono degli incubatori di disgrazie. L’Olanda è riuscita in parte ad evitare questo disastro, e i risultati sono tangibili.

In Italia si è detto e scritto che la laicizzazione è stata imposta in Francia «in modo neocoloniale», che l’ascensore sociale non esiste, che dalle banlieue non si può uscire, perché l’università in Francia costerebbe troppo, e dunque i poveri e gli “impoveriti” sono già segnati a quel destino. Ma di nuovo la realtà contraddice questa lettura. Le università in Francia sono praticamente gratuite (costano circa duecento euro l’anno e sotto un certo reddito non richiedono tasse). Inoltre, gli studenti di famiglie non abbienti sono aiutati con importanti sussidi mensili (più di cinquecento euro) cui si aggiungono specifici aiuti per gli affitti di alloggi per studenti, con pasti in mensa ad un solo euro eccetera. La critica, anche qui, caso mai può essere quella dell’incentivo negativo, ovvero che agli studenti disagiati non è chiesto di superare gli esami, ma solo di provare a superarli. Così, tra i tanti che sanno approfittare dell’opportunità, ci sono anche numerosi casi di furbizia autolesionista, come è il caso di chi resta tre anni senza dare neanche un esame per mantenere i sussidi.

Meritocrazia e sussidi hanno un ruolo di ascensore sociale, ma tutto gira a vuoto se manca il senso della cittadinanza. L’integrazione non è possibile se le scuole sono frequentate solo da persone che si riconoscono tra loro per il fatto di essere degli immigrati e di vivere in banlieue, ovvero nei luoghi dove la polizia non entra e di cui si parla nei telegiornali. E l’uccisione di “uno di loro” da parte delle forze dell’ordine offre l’identificazione immediata di un gruppo verso un nemico.

Alla mancanza di senso di cittadinanza, che è un problema politico e non di povertà, contribuisce anche un’altra trappola, ovvero l’ideologia antiliberale e antioccidentale che soffia consapevolmente sul fuoco. Anche in quelle che un tempo erano le prestigiose Grandes Écoles hanno trovato ospitalità le dottrine che considerano la laicità e il secolarismo delle forme di prepotenza dei bianchi occidentali. È la vecchia storia che portò Michel Foucault a plaudire a Khomeini.

Interessante quello che scrisse anni fa Olivier Roy: tra le terze generazioni di immigrati si è fatta strada una nutrita minoranza che odia il paese nel quale vive, ma che si serve di uno strumentario ideologico offerto proprio dall’occidentale mainstream antioccidentale.

D’accordo, parliamo comunque di minoranze, mentre la maggior parte delle persone non si sente né integrata né emarginata, si fa i fatti propri nel proprio microcosmo. Il populismo però non fa prigionieri. Alimenta una narrazione identitaria, che fa comodo al populismo di sinistra, al populismo di destra e alle comunità emarginate e autoemarginate, puntando alla polarizzazione e alla destabilizzazione, mettendo gli uni contro gli altri. Il risentimento non è maggioritario, bensì è la politica francese ad essere confusa, presa come è dai vari populismi e l’incapacità di riconoscere che la vecchia ideologia è completamente sbagliata.

Articolo proveniente da Linkiesta