Voleva solo difendere all’Olimpiade di Tokyo l’oro ai Giochi di Londra 2012 e quello di Rio del 2016 negli 800 metri – la sua distanza – ma le nuove regole introdotte dal world athletics glielo avevano sostanzialmente impedito, costringendola ad assumere medicinali per poter competere nelle gare femminili delle sue distanze di specialità.
Per Caster Semenya, donna affetta da iperandroginia, nata con testicoli interni, le nuove direttive del testosterone introdotte dalla federazione internazionale di atletica leggera sono state un macigno insormontabile: “Pensavano non fossi una donna. Per fare atletica, ho dovuto assumere farmaci per diversi anni, con le conseguenti ripercussioni. Mi hanno fatto ammalare, mi hanno fatto ingrassare, avevo attacchi di panico”. Il dibattito, durato anni, sulla giustizia del trattamento ha avuto oggi la sua conclusione.
La 32enne, da sempre contraria ai medicinali, aveva presentato una denuncia contro la Svizzera, i cui tribunali avevano confermato l’obbligo di doversi sottoporre ai trattamento ormonale per poter gareggiare nella sua distanza preferita. Dopo i ricorsi infruttuosi presso la Corte Arbitrale dello Sport (TAS) e la Corte Suprema Federale Svizzera, si è rivolta alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, che in mattinata ha accolto il ricorso della campionessa olimpica sudafricana.
Con una maggioranza di quattro giudici contro tre, Strasburgo ha stabilito che l’atleta è stata discriminata, sollevando ”seri dubbi” sulla validità delle regole in vigore nella Federazione mondiale di atletica. Non c’è ancora certezza sulla sua presenza ai Giochi olimpici di Parigi 2024, ma la decisione della Corte potrebbe presto aprire nuovi scenari nei regolamenti degli atleti professionisti.
L’articolo Il caso di Caster Semenya accolto dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo: discriminata sul sesso dalla Svizzera proviene da Il Riformista.