Nel “Si&No” del Riformista spazio al dibattito sul Palio di Siena: è una tradizione che va conservata o no? Lo abbiamo chiesto a Claudio Borghi Aquilini, Senatore della Lega, che è favorevole al mantenimento della tradizione, e a Michela Brambilla, Senatrice e presidente LEIDAA, che, al contrario, pensa sia giusto abolirlo.
Qui di seguito il parere di Michela Brambilla.
Il fatto che una festa crudele sia anche antica, che vi si riconoscano decine di migliaia di persone, che possa rappresentare l’identità di una comunità, non la giustifica né la nobilità. Resta quello che in sostanza è: un plateale atto di violenza, un’affermazione di dominio sugli esseri viventi che la subiscono, l’esaltazione del coraggio (o della spavalderia) dei protagonisti umani a spese dei più deboli. Vale per la corrida, per l’encierro di Pamplona, per tante altre manifestazioni “tradizionali” con animali di cui pullulano il Vecchio e il Nuovo Mondo. Vale per il Palio di Siena, l’intoccabile tra le intoccabili. Potrei qui elencare la lunga serie di incidenti, spesso fatali, che nei decenni hanno funestato la “carriera” (dal 1975 al 2019 sarebbero 51 gli equini morti).
Ci sarà sempre qualcuno pronto ad argomentare che il Palio non è più pericoloso di altre corse o chi ricorderà le misure adottate fin dagli anni Novanta per aumentare la sicurezza di cavalli e fantini. Sono pietose foglie di fico. Mi appello, piuttosto, al caro, vecchio buon senso: per la natura del tracciato, la velocità raggiunta dai cavalli e il trattamento (non parlo ovviamente degli illeciti) cui sono sottoposti durante la gara, dove si fa un uso “generoso” del frustino, dove ogni scossa, ogni curva può significare la caduta e forse la morte, il Palio è una corsa pericolosa, a maggior ragione per la filosofia della “vittoria ad ogni costo” che la ispira.
È pericolosa per i fantini e per i cavalli. Con la differenza che i primi vanno (legittimamente) a caccia di denaro e di “gloria” e qualcuno di loro esce da piazza del Campo più ricco e più famoso, mentre i secondi, se potessero, non correrebbero certo ad iscriversi alla “carriera” (come i tori non si iscriverebbero alla corrida) e possono dirsi fortunati se torneranno a brucare l’erba sul prato. Generalmente le tv e i media fanno a gara nell’esaltare “l’italianità” del Palio e il richiamo turistico che la corsa rappresenta. Non ci siamo proprio. Colgo questa occasione per ribadire che non mi sono mai pentita della posizione assunta più di dieci anni fa, quand’ero ministro del Turismo. Allora non solo mi guardai bene dall’attribuire al Palio di Siena il riconoscimento “Patrimonio d’Italia”, ma mi opposi fermamente all’inclusione del Palio tra le candidature nazionali al titolo di “Patrimonio immateriale dell’umanità” assegnato dall’Unesco. Sembrava un’eresia, le mie dichiarazioni sollevarono un putiferio, mi accusarono di imprudenza anche nel mio staff. Ma dentro e fuori il Consiglio dei ministri mi diedero manforte due persone di straordinaria sensibilità, che oggi, purtroppo, non sono più tra noi: il presidente Silvio Berlusconi e l’allora ministro degli Affari Esteri (poi presidente del Consiglio di Stato) Franco Frattini).
Mi pareva e mi pare incontestabile: il Palio è un simbolo nel quale evidentemente si riconoscono i senesi, ma nel quale non possono riconoscersi tutti gli italiani, soprattutto la stragrande maggioranza che ama gli animali e vuole vederli rispettati. Da secoli gli esseri umani sfruttano gli animali per divertirsi. Gli antichi romani – prima di passare al “clou” dei ludi, i combattimenti gladiatori – si godevano al Colosseo mattanze di migliaia di bestie di ogni specie, trascinate nell’Urbe da ogni angolo del mondo per celebrare il dominio di Roma. Oggi quell’antica festa crudele ci ripugna e ne restano soltanto echi lontani.
Si risentono anche quando gli ignari equini del Palio sono “allenati”, incitati, spronati col frustino, incalzati in ogni modo e costretti a rischiare la vita per il diletto della folla. Il prezzo lo pagano loro, i cavalli. Cavalli come Raol, il destriero della Giraffa abbattuto nel 2018 dopo una rovinosa caduta e la frattura della zampa anteriore. Contesto e contesterò sempre volentieri la convinzione, tanto radicata quanto infondata, che la tradizione possa comunque giustificare lo sfruttamento di animali innocenti.
L’articolo Palio di Siena: “No, non va conservato. Il fatto che sia una festa antica non può giustificare tanta crudeltà” proviene da Il Riformista.