“Lo sguardo del Garante nazionale è certamente uno sguardo intrusivo, deve penetrare al di là della superficie e porre cautele, formulare Raccomandazioni, per evitare più livelli di rischio. In primo luogo, il rischio d’indebolimento della tutela dei diritti delle persone meno visibili, ma anche l’abbassamento della consapevolezza collettiva. Infine, il rischio dell’esposizione del Paese a possibili censure in ambito internazionale”. Così Mauro Palma lo scorso 15 giugno nell’ultima relazione al Parlamento, quale Presidente del Collegio del Garante Nazionale dei diritti delle persone private della libertà. Il suo mandato, prorogato nel tempo della pandemia oltre i cinque anni previsti, è giunto al termine e ci si chiede ora a chi sarà affidato dall’attuale governo quello ‘sguardo intrusivo’ che dal 2016 è operativo a garanzia di controllo del funzionamento delle nostre istituzioni democratiche.
Il percorso della creazione di questa figura nasce nel 1997, ma il suo lungo iter trova una celere determinazione nel 2013, in seguito alla sentenza ‘Torreggiani’, con cui la Corte Europea condannò l’Italia per le condizioni inumane e degradanti dei propri penitenziari. Torreggiani era recluso nel carcere di Busto Arsizio, dove ad oggi ci sono ristrette 420 persone, rispetto ai 240 posti ufficiali. Non abbiamo imparato molto da allora. A Mauro Palma, nel mandato fondativo di questa figura è toccato organizzarne il lavoro, identificando le aree dove non far mancare quello ‘sguardo intrusivo’, specie laddove le telecamere non entrano o, meglio, da dove non escono riprese. Quando sono uscite, come da S. Maria Capua Vetere, la coscienza collettiva ne è stata profondamente lesionata. Gli interventi del garante riguardano le raccomandazioni alle pubbliche amministrazioni, i pareri al legislatore, i rapporti delle singole ispezioni. Una volta all’anno, la relazione al Parlamento.
Di Rita Bernardini si sono dette e scritte molte cose. Marco Perduca il 23 giugno scrive sull’Huffington Post che è “antiproibizionista, certo è anti-clericale, certo è antifascista quanto anticomunista”. Credo però che tutto questo bisogno di etichettare non le renda ragione. Fu lei a chiamarmi, la scorsa estate, dopo aver intercettato un video, in cui imploravo l’allora Ministra Cartabia di mettere i telefoni nelle celle per arginare l’ecatombe in corso: 85 persone, nelle 2022, hanno preferito la morte al carcere. Insieme abbiamo battagliato, con successo, perché le videochiamate – introdotte ad experimentum durante il covid – potessero diventare modalità ordinaria per effettuare i colloqui coi familiari. L’ho poi vista all’opera, lo scorso 6 gennaio, in visita al carcere di Busto Arsizio, di cui sono il cappellano.
Perché Rita in carcere ci va. Da una vita. Con una predilezione per i giorni di festa, come il 15 agosto o il primo dell’anno, senza negarsi un sorriso beffardo agli sguardi del personale, attonito a richieste inconsuete in giorni festivi. Nel solo 2023 sono già 70 le visite fatte. Diranno che è anti-clericale, ma è presidente dell’associazione dal nome ‘Nessuno tocchi Caino’ e ricorda con piacere il suo passato da catechista in parrocchia, dove ha respirato quel senso evangelico dell’altro, che credo potrebbe fare di lei un’autentica figura di garanzia al rispetto della persona e dei suoi diritti. Chiunque esso sia. Anche il più terribile dei criminali. Se a Mauro Palma si deve il plauso e la gratitudine per aver accolto l’incarico dall’alto, strutturando l’ufficio, serve ora chi possa sentirsi investito di un mandato dal basso.
Il Garante non può che avere un respiro corale: deve essere sentito raggiungibile, avvicinabile, capace di parlare al Parlamento come nella sezione di un carcere. Non basta dire che deve sapere di carcere: deve averne l’odore. Così Papa Francesco dice dei pastori: devono avere l’odore delle pecore. Quando leggo le lettere che le donne detenute a Torino scrivono a Rita, chiosandole con un ‘abbraccio prigioniero’, credo davvero siamo sulla strada giusta. Serve poi una capacità di fare rete con i Garanti territoriali. Regioni e comuni hanno, infatti, facoltà di creare e regolamentare una figura di garanzia sul territorio. Ma per generare un raccordo ci vuole chi giri l’Italia da anni, come Rita: nota alle camere penali dell’intero stivale e stimata come interlocutrice affidabile.
La giovinezza istituzionale della figura del garante chiede chi possa ispessirne il ruolo con un reale mandato dal basso, che faccia sentire più vicine le Istituzioni. Ne guadagnerebbe il governo stesso. Tante battaglie di Rita Bernardini non saranno mai mie. Ma quando ho sentito che il Ministro Nordio l’aveva chiamata personalmente per un’audizione, quale possibile candidata a Garante Nazionale dei diritti delle persone private della libertà, ho sentito fosse la giusta direzione. Speriamo che logiche di spartizione di cariche non inquinino la strada intrapresa, annichilendo il tanto già fatto e incenerendo il tanto da fare.
L’articolo Rita Bernardini, l’abbraccio con i detenuti lungo una vita proviene da Il Riformista.