Non è stato trovato niente nel terzo covo del superlatitante Matteo Messina Denaro a Campobello di Mazara. Il terzo nel giro di due chilometri. La polizia ci sarebbe arrivata dopo la testimonianza di un uomo che ha riconosciuto il volto del boss di Castelvetrano dopo l’arresto di lunedì scorso a Palermo. La perquisizione dell’appartamento è stata disposta dal procuratore aggiunto Paolo Guido. Gli agenti non hanno trovato niente, vuoto. A suscitare l’interesse sui controlli di questi giorni la ricerca di documenti che possano raccontare qualcosa della mafia siciliana: su tutti il cosiddetto archivio Riina.
Le perizie calligrafiche sono partite sugli appunti, le annotazioni e gli sfoghi personali in un’agenda, i post-it e i fogli sparsi con note e promemoria. Forse solo contabilità, supporti organizzativi, cenni alla rete di protezione in cui si è mosso in quest’ultima fase di latitanza il boss di Cosa Nostra latitante da trent’anni quasi. Carte comunque da studiare ma che al momento non sembrano neanche lontanamente avvicinarsi alla raccolta di documenti di cui si parla da anni: dall’arresto del Capo dei Corleonesi e della Mafia stragista Riina.
Qualcosa di imprendibile, di inafferrabile, così irraggiungibile che si dubita anche della sua stessa esistenza. Nessuna traccia del “tesoro” che potrebbe celare i presunti segreti e i misteri irrisolti della stagione stragista di Cosa Nostra. Al momento i ritrovamenti sono più dozzinali, buoni più per il pettegolezzo che per le aule giudiziarie: profumi e indumenti di lusso, scarpe di marca, pillole per aumentare le prestazioni sessuali, profilattici e arredamento raffinato. Ritrovamenti che dicono qualcosa sulla vita quotidiana del boss, certo.
Il 6 giugno del 2012, nel processo Borsellino Quater parlava il collaboratore di Giustizia Antonino Giuffrè, ex membro della Cupola di Cosa Nostra, capo mandamento di Caccamo, ritenuto attendibile più volte dai giudici parla: “Lui ha i documenti che sono stati portati via dal covo di via Bernini dopo l’arresto di Totò Riina”. Lui era Messina Denaro. Come riporta La Stampa, il boss di Castelvetrano sarebbe entrato in possesso delle carte rimaste per 18 giorni nella cassaforte di via Bernini a Palermo quando trent’anni fa il capo dei Corleonesi veniva arrestato.
Degli stessi documenti ha parlato Giovanni Brusca: “Riina era maniacale nel mettere insieme e conservare tutti i documenti, prendeva appunti anche alle riunioni e li metteva da parte. Ordinò lui di fare sparire tutto”. Brusca ha parlato anche di un block notes in cui Riina segnava tutto, il suo “ufficio volante”. Lo stesso ha ipotizzato che i documenti siano stati bruciati. Di fatto nessuno li ha mai visti o ha riferito di essere al corrente con certezza della loro sorte.
È una trama rinverdita e battuta con il tono del mistero, del giallo irrisolto, anche dell’arma silenziosa, del ricatto. È la versione oscura dell’agenda rossa di Borsellino, sparita dal luogo della strage in via D’Amelio a Palermo e mai più ritrovata. Salvatore Baiardo, prima vicino ai fratelli Graviano, ha detto a Report che “ci sono più copie di quell’agenda, una ce l’ha lui”. Sempre Messina Denaro.
La mancata perquisizione del covo di via Bernini, avvenuta solo alcuni giorni dopo quando la villa era stata ormai svuotata e ripulita, sfociò poi in una pesante polemica tra la Procura e i carabinieri e in un processo concluso con l’assoluzione del vicecomandante del Ros Mario Mori e del colonnello Sergio De Caprio, alias capitano Ultimo, dall’accusa di favoreggiamento a Cosa Nostra. Salvatore Riina è rimasto in carcere fino alla sua morte avvenuta il 17 novembre 2017. Il suo archivio disperso, resta introvabile.
L’articolo Cos’è “l’archivio Riina”, il mistero della Cosa Nostra stragista nei documenti: è caccia nei covi di Matteo Messina Denaro proviene da Il Riformista.